Lo stato di salute del nostro mare è compromesso? Lo abbiamo chiesto ad alcuni volontari delle Guardie Zoofile locali e alla Biologa marina Martina Fustolo.
Quella che sta giungendo al termine è un’estate nella quale si è fatto un gran parlare di argomenti come biodiversità marina, ambientalismo e salvaguardia degli arenili. Il tema già caldo, si è trasformato in una vera lotta a colpi di argomentazioni dopo i tanto discussi Jova Beach Party, rei di aver sfruttato un ambientalismo di facciata per promuovere degli eventi dannosi per i lidi che li hanno ospitati. Il polverone mediatico si è sollevato, inondando i social per settimane, per poi posarsi a terra e sparire.
Ci vediamo l’estate prossima, tutela della biodiversità marina!
E invece no!
Proprio adesso che la stagione estiva si avvia alla conclusione, è necessario fare dei bilanci e conoscere meglio lo stato in cui ritroveremo il nostro mare l’anno prossimo ma soprattutto, lo stato in cui lo stiamo lasciando. Già nel 2020 il presidente di Legambiente Lazio Roberto Scacchi, aveva parlato di “serie criticità da affrontare lungo la costa del Lazio” nel corso della presentazione dei risultati della loro campagna di analisi e monitoraggio delle acque territoriali.
Sei zone sulle undici analizzate risultarono fortemente inquinate e portarono Scacchi a rivolgersi direttamente alle Amministrazioni locali chiedendo di prestare attenzione al potenziamento dei depuratori e all’abusivismo fognario, tra le principali cause della malattia del nostro mare. Queste criticità strutturali unite all’incuria di alcune persone ancora troppo poco sensibili verso questi temi, compromettono gravemente lo stato di salute delle acque nelle quali noi e i nostri figli facciamo il bagno.
Per fare luce sull’argomento e capire quale contributo, noi cittadini, possiamo dare a questa causa d’interesse comune, abbiamo chiesto aiuto ad alcuni volontari delle Guardie Zoofile Ecologiche Armellino 92 Anzio, Simone Kircoff e Giorgia Ceci, che hanno messo a nostra disposizione la loro esperienza e la loro conoscenza delle spiagge locali.
L’intervista:
1- Stando alla vostra esperienza, sul nostro territorio c’è una sufficiente azione a tutela delle aree marine da parte delle istituzioni?
Purtroppo da parte delle istituzioni territoriali vi è una risposta molto blanda alle criticità delle nostre aree marine. La tutela del nostro mare e il mantenimento dei lidi sono argomenti delegati troppo spesso alla buona volontà di cittadini. Così chi ha a cuore l’ambiente spesso fa la differenza più di chi ha titoli e risorse per cambiare realmente le cose.
2- Quali sono le zone più critiche del nostro litorale e quali sono le loro problematiche principali?
Le aree più critiche sono quelle dei Comuni di Ardea e di Pomezia. Entrambi molto sporchi e poco curati se non nell’estensione del bagnasciuga prima del periodo estivo. Ardea ad esempio, con i suoi canali molto inquinati, ha il divieto di balneazione permanente su 4 km di costa. È mai stato fatto qualcosa di concreto per quelle zone? No. La grande criticità in questo senso sta nell’uomo stesso e nell’assenza di educazione e sensibilità. Non riesco a comprendere l’incoerenza che si cela dietro un comportamento come osservare un romantico tramonto sulla spiaggia per poi lasciare quell’area piena di rifiuti.
3- Qualcosa sta cambiando riguardo la sensibilità ambientale nelle persone?
È un topic “di moda” e molte persone iniziano ad avere interesse verso il nostro mare.
Mi è capitato spesso, durante qualche pulizia al mare, di essere ringraziato e fermato per parlare dell’argomento da adolescenti, e quasi mai da adulti. C’è ancora un divario molto importante tra chi si informa e si mette in gioco e chi fa finta di non vedere la situazione. Non è raro sentire persone preoccupate dal cambiamento climatico o indignate dalla mancanza di interventi. Alcuni di loro si impegnano a cambiare, poco alla volta, abitudini e schemi di pensiero, mentre altri all’atto pratico non fanno nulla se non lamentarsi.
4- Cosa può fare ogni cittadino per dare un aiuto pratico alla causa di tutela delle aree marine?
Come disse Primo Levi “Se comprendere è impossibile, allora conoscere e necessario” dunque è fondamentale informarsi, essere curiosi e agire. Se vedete qualcuno abbandonare rifiuti sulla spiaggia oppure arrampicarsi sulla macchia mediterranea o in aree protette che spesso sono dimora di alcune specie endemiche, non dovete avere paura di correggere le sue brutte abitudini. È opportuno anche informarsi e leggere più possibile riguardo l’argomento per sapere cosa fare e come comportarsi al meglio.
Chi poi durante il tempo libero ha intenzione di dare una mano e imparare qualcosa in più può fare richiesta di volontariato in associazioni come Save The Sea, Sea Shepherd e Plastic Free. Al loro interno si lavora per rendere il nostro mare più pulito. Ogni aiuto è un supporto enorme alla sostenibilità e alla tutela dell’equilibrio degli ecosistemi marini.
5- Come si valuta il livello di inquinamento di un’area marina e quali rischi comporta per la balneazione?
(A questa domanda ci ha risposto la Dottoressa Martina Fustolo, Biologa marina N.d.R)
Le fonti di inquinamento possono essere numerose e di diverse tipologie: dall’inquinamento chimico e biologico a quello acustico. In ciascun territorio questa valutazione spetta alle ARPA, le Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente, incaricate dal MiTE (Ministero della Transizione Ecologica).
Per queste analisi spesso ci si serve di bioindicatori. Si tratta di organismi che in presenza di uno stress naturale o antropico, subiscono variazioni rilevabili del proprio stato naturale. Una di queste è la Posidonia oceanica, una specie presente esclusivamente nel Mediterraneo. Può essere inoltre effettuata l’analisi dei mitili per valutare lo stato di inquinamento di una specifica area marina, confrontandolo con quello di altre aree. Questi molluschi essendo filtratori riescono ad accumulare metalli pesanti e sostanze nocive presenti nell’acqua. Elementi di questo tipo possono essere rinvenuti a causa di molteplici fattori: sversamenti chimici, problemi degli impianti di depurazione, microplastiche o sversamenti di natura tessile. Spesso infatti i coloranti e le acque tintorie, ma anche i pesticidi, vengono dispersi in mare e rappresentano un grave danno a livello biologico.
Gli effetti sul lungo termine sono ancora oggetto di studi ma è sempre consigliabile rispettare i limiti imposti ed evitare di immergersi in acque contaminate. Durante l’anno le ARPA effettuano analisi per monitorare la presenza di Osteopsis ovata (un’alga microscopica unicellulare) che può causare una sindrome simile all’influenza febbrile-respiratoria. Talvolta può anche essere associata a dermatiti o congiuntiviti. La normativa vigente prevede anche il monitoraggio delle acque e l’analisi dei campioni per la misura delle concentrazioni di Escherichia coli e di Enterococchi intestinali. La loro presenza nelle acque potrebbe causare crampi, febbre, vomito e dissenteria, pertanto queste valutazioni sono essenziali per la salute pubblica.
A minacciare il nostro mare, dunque, sono diversi fattori, ma alcuni di questi possiamo controllarli. Due numeri al volo.
L’indagine “Beach Litter” di Legambiente, ha evidenziato la presenza di circa 670 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia. Tra questi la plastica si conferma sovrana, svettando sugli altri materiali con una percentuale dell’84% di oggetti rinvenuti. La scorretta gestione dei rifiuti urbani, stando al report di Legambiente, è responsabile per il 50% dello stato delle nostre spiagge.
Risulta infatti che negli ultimi anni, solo il 20% della plastica prodotta sia stato riciclato o incenerito. Mancano all’appello circa 10 milioni di tonnellate di plastica, sospinta in acqua dal vento o prodotta direttamente da pescherecci, navi mercantili e imbarcazioni turistiche. Quindi cosa potremmo fare? Potremmo iniziare impegnandoci a smaltire correttamente i nostri rifiuti e tentando di privilegiare materiali alternativi all’usa e getta. Potremmo fare acquisti responsabili, che si traduce anche con meno-acquisti.